martedì 7 giugno 2011

Perché la Torino Lione non si farà mai



 di Livio Pepino* da Il Manifesto del 4/6/11 – pag. 15
 
Tutti lo sanno e, a telecamere spente, lo ammettono. La linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione non si farà: né oggi, né mai. Per la provvidenziale resistenza del popolo No Tav. Ma anche per un'altra (sopravvenuta) decisiva ragione: non ci sono - e, in tempi di crisi, non ci saranno - i fondi. I famosi e magnificati finanziamenti europei potrebbero consentire solo sondaggi, cantieri, strade di accesso e qualche traforo esplorativo. Intanto, però, i semilavorati servirebbero a dare un po' di ossigeno alla (scarsa) credibilità di chi continua a cercare consenso elettorale con la promessa di "grandi opere" e alla fame di commesse di chi vede assottigliarsi i tradizionali rivoli di denaro pubblico.
Dunque, avanti tutta! Meglio se con la forza, per dare finalmente la lezione che merita a quella banda di "straccioni" (montanari e centri sociali...) che continuano a opporsi al progresso. Così l'Unione industriali invoca l'intervento della polizia per disperdere i No Tav e scrive al Ministro dell'interno invitandolo a «fare tutto ciò che serve per aprire il cantiere della Maddalena entro il 31 maggio, ovvero la scadenza imposta dall'Unione europea». All'associazione degli industriali dà manforte l'assessore regionale ai trasporti che spiega come «di fronte agli agitatori di professione che si muovono nell'illegalità non ci sono regole d'ingaggio e lo Stato deve fare tutto ciò che è in suo potere per ripristinare il normale ordine delle cose». E, per non essere da meno, il vecchio e il nuovo sindaco di Torino proclamano all'unisono che l'unica urgenza è «l'apertura del cantiere».
C'è da non crederci. L'utilità delle "grandi opere" nel nostro Paese (quella pubblica, intendo) è sotto gli occhi di tutti; i danni provocati dalla devastazione dell'ambiente riempiono ogni giorno le pagine dei media; la crisi economica sta spegnendo in tutto il mondo le illusioni di una crescita infinita e incontrollata; la funzionalità - fra venti o trent'anni - del sistema di trasporti in cui si inserisce la linea ferroviaria progettata è, ormai, messa in dubbio da esperti di destra e di sinistra. Per tacere - e non è certo l'ultimo tema... - dei danni alla salute che si prospettano per gli abitanti della valle. Buon senso e razionalità vorrebbero che si aprisse finalmente un confronto ampio e pubblico sul se proseguire nel progetto e non solo sul come procedere.
E invece no. Anzi, per dare credibilità a questa irrazionale rimozione, dopo avere vanamente cercato di oscurarlo, si cerca di criminalizzare un movimento che, in ventidue lunghi anni, ha dato dimostrazioni di coerenza, maturità e capacità di aggregazione non comuni. Il tentativo non si ferma all'uso spregiudicato dei media. Il seguito giudiziario è un corollario di ogni forma di opposizione sociale. E, fin qui, siamo nel fisiologico. Ma in alcune vicende stanno emergendo fatti inquietanti. Due esempi per tutti. Dopo anni si è aperto il dibattimento in un processo a carico di due sindaci imputati di lesioni a due agenti di polizia nel corso di una manifestazione del dicembre 2005. Fatto, comunque, di minima rilevanza, non essendo contestata neppure l'immancabile resistenza. Ma tanto è bastato a creare il mostro: il presidente del tribunale di Torino ha infatti disposto che il dibattimento non si svolga nella sede naturale di Susa ma nell'aula bunker del capoluogo, annessa al carcere delle Vallette, impiegata sino ad ora solo per processi di mafia e di terrorismo, così parificando nei fatti a tali fenomeni la resistenza della valle... Ancora più allarmante la seconda vicenda, emersa nel processo civile intentato dalla Ltf (la società preposta alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità) contro alcuni esponenti No Tav, tra cui un sindaco, per ottenere il risarcimento dei danni provocati dalla mancata esecuzione, nel gennaio 2010, di un sondaggio geognostico nei pressi di Susa. Tra le somme di cui si chiede il risarcimento ci sono 36.272 euro spesi per provvedere (su richiesta del prefetto di Torino) «all'alloggiamento delle forze dell'ordine intervenute per mantenere l'ordine pubblico» (sic!). Dunque - apprendiamo - le forze dell'ordine preposte a garantire la legalità in una situazione di conflitto sono pagate da una delle parti in causa. Come dire che l'arbitro è pagato da una delle due squadre.
Come si vede i guasti di una politica dissennata ricadono anche sul piano istituzionale, con conseguenze che vanno ben oltre il caso specifico. È troppo chiedere a una "sinistra di governo" che proprio grazie alla radicalità di alcuni ha vinto i ballottaggi di provare a distinguersi dalla destra?
 
 
* Dal 2006 al 2010 è membro del Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno dei giudici. In passato ha ricoperto i ruoli di consigliere di Cassazione, sostituto procuratore generale a Torino e presidente di Magistratura Democratica.