tratto da: megachipdue.info
di Giorgio Cattaneo.
Sergio Berardo, voce e anima dei Lou Dalfin,
è felice. Sorseggia l’ultimo bicchiere dopo il concerto che ha osato
offrire il 10 giugno alla Libera Repubblica della Maddalena, il sito di
Chiomonte in valle di Susa dove i No-Tav si attrezzano per resistere in
caso di attacco da parte degli agenti antisommossa. Roccaforte? No:
sembra il villaggio di Asterix. Si respira la stessa atmosfera gioiosa
del G8 di Genova prima del fatale venerdì: centinaia di persone, giovani
e famiglie. Tendopoli, letizia, piacere di esserci, orgoglio.
Cucine da
campo, birra, pizze, chitarre. Umanità. Il concerto è andato benissimo,
attirando molto pubblico: strategia perfetta per allontanare il peggio.
«Forse verranno anche gli Statuto – dice Mario, uno dei “difensori” –
sempre che non scatti il blitz nella notte tra lunedì e martedì, con
l’Italia ipnotizzata dai tele-talk sui referendum».
Arrivare lassù resta comunque un’impresa, specie di notte. Terreno
accidentato, montagna impervia. E poi: le difese. Barricate di ogni
genere, per chilometri, a sbarrare le vie d’accesso. Obiettivo:
rallentare l’eventuale attacco per dare modo agli abitanti di accorrere.
La vigilanza è altissima, le “vedette” No-Tav tengono d’occhio tutta la
valle, le statali e l’autostrada: non c’è modo che un convoglio di
blindati possa sopraggiungere di sorpresa. La Maddalena è una terrazza
di vigneti e boschi di castagno tra le gole della Dora Riparia e del
torrente Clarea. Montagna severa, piena di ostacoli naturali. Ma a
sbalordire è il dispositivo difensivo del presidio No-Tav, davvero oltre
l’immaginabile.
Le due vie d’accesso, una sterrata e l’altra asfaltata, sono state
letteralmente sigillate. La strada forestale che proviene dal bosco è
stata chiusa forse un paio di chilometri prima con una serie infinita di
ostacoli: tronchi d’albero, cumuli di terra, buche, massi, persino
gabbie d’acciaio con pietre: ci devono aver lavorato squadre di operai.
Per la stradina del bosco non passerebbe neppure un carro armato: prima
dovrebbero lavorare le ruspe, per ore. L’altra strada, invece, la
principale – asfaltata – è sbarrata da blocchi mobili, aperti solo per
lasciar passare convogli “amici”, e sigillata di notte con poderosi
sbarramenti di tronchi.
Sul posto, a parte l’andirivieni per lo più diurno o al massimo serale, fino alla mezzanotte, c'è un “battaglione” stanziale di difensori volontari, attendato e sempre pronto a fare resistenza passiva. Il campo, poi, è sorvegliato da “sentinelle” discrete ma onnipresenti: tutto il territorio è controllato al millimetro. Francesco è uno dei comandanti della difesa: un generale di vent’anni, in jeans a scarponi. Calmo, disteso, sorridente. «Se verranno, resisteremo».
Finito il concerto, a notte fonda, mentre in tanti si sono ritirati nelle tende, i “difensori” ricontrollano la situazione disponendo la sorveglianza per la notte. L’obiettivo è sempre lo stesso: rendere più lenta l’eventuale “conquista” del presidio, dando tempo agli abitanti di accorrere. Migliaia di valsusini non spengono mai il cellulare: si tengono pronti al peggio, nel caso da Chiomonte arrivasse l’allarme. Lo hanno già fatto nel 2005, riversandosi in massa a sbarrare la valle occupando ferrovia, statali e autostrada.
La notte si allunga sulla Maddalena, mentre le ultime luci si allontanano nel bosco: sono le torce di chi torna verso le auto, lontanissime, arrampicandosi al buio tra le barricate. Ma i presidianti non sono mai soli: la tendopoli è vasta, accoglie centinaia di volontari. Una comunità trepidante. E in tutto ciò, non c’è ombra di violenza. E neppure di rabbia. Ci si guarda negli occhi, convinti di essere lì perché è un dovere, per restare cittadini, e per giunta cittadini italiani. Con la sicurezza di sapere cosa si vuole, da che parte stare. Così, essere lì diventa anche un piacere: una sensazione di libertà, qualcosa che assomiglia alla felicità. Una felicità difficile, costretta a vivere trincerata, con una immensa nostalgia di futuro e la voglia di abbracciare il mondo, se solo il mondo allentasse finalmente l’assurdità di un assedio infinito.
Sul posto, a parte l’andirivieni per lo più diurno o al massimo serale, fino alla mezzanotte, c'è un “battaglione” stanziale di difensori volontari, attendato e sempre pronto a fare resistenza passiva. Il campo, poi, è sorvegliato da “sentinelle” discrete ma onnipresenti: tutto il territorio è controllato al millimetro. Francesco è uno dei comandanti della difesa: un generale di vent’anni, in jeans a scarponi. Calmo, disteso, sorridente. «Se verranno, resisteremo».
Finito il concerto, a notte fonda, mentre in tanti si sono ritirati nelle tende, i “difensori” ricontrollano la situazione disponendo la sorveglianza per la notte. L’obiettivo è sempre lo stesso: rendere più lenta l’eventuale “conquista” del presidio, dando tempo agli abitanti di accorrere. Migliaia di valsusini non spengono mai il cellulare: si tengono pronti al peggio, nel caso da Chiomonte arrivasse l’allarme. Lo hanno già fatto nel 2005, riversandosi in massa a sbarrare la valle occupando ferrovia, statali e autostrada.
La notte si allunga sulla Maddalena, mentre le ultime luci si allontanano nel bosco: sono le torce di chi torna verso le auto, lontanissime, arrampicandosi al buio tra le barricate. Ma i presidianti non sono mai soli: la tendopoli è vasta, accoglie centinaia di volontari. Una comunità trepidante. E in tutto ciò, non c’è ombra di violenza. E neppure di rabbia. Ci si guarda negli occhi, convinti di essere lì perché è un dovere, per restare cittadini, e per giunta cittadini italiani. Con la sicurezza di sapere cosa si vuole, da che parte stare. Così, essere lì diventa anche un piacere: una sensazione di libertà, qualcosa che assomiglia alla felicità. Una felicità difficile, costretta a vivere trincerata, con una immensa nostalgia di futuro e la voglia di abbracciare il mondo, se solo il mondo allentasse finalmente l’assurdità di un assedio infinito.