tratto da "La Stampa"
di Maurizio Tropeano – inviato a chiomonte
Dieci coinvolti nelle indagini dellaprocura: «Giustizia a orologeria, non ci fermeremo»
Questa giustizia ad orologeria non fermerà la nostra volontà di
difendere la valle dal cantiere della Torino-Lione». Carlo Ponsero,
consigliere comunale di Giaglione, ti accoglie sorridente davanti alla
tenda-osservatorio che ospita l’unità di crisi della Comunità Montana
Valsusa-Valsangone nel piazzale dell’eco-museo di Chiomonte. In quel
piazzale dove è stato trasferito e ampliato il presidio anti-Tav
l’avviso di chiusura delle indagini firmato dal procuratore capo
Giancarlo Caselli il 7 giugno non ha fatto altro che aumentare la
mobilitazione e la volontà di non mollare: «Anche nei prossimi giorni
ci saranno centinaia di persone determinate, pacifiche e tranquille che
contrasteranno in ogni modo l’opera», spiega Alberto Perino.
Il leader dei comitati No Tav è una delle dieci persone finite nel
mirino della procura. Con lui ci sono tre esponenti dei centri sociali,
tre dell’area anarchico-insurrezionalista ma anche il sindaco e il
vicesindaco di San Didero, Loredana Bellone e Giorgio Vair. «Film già
visto – spiega ancora Perino – così potete scrivere della saldatura tra
amministratori e centri sociali. Ma questo non fa altro che aumentare
il nostro consenso».
Propaganda? Vista dal piazzale della Maddalena no. Lì va in scena la
convivenza, a volte difficile, tra le varie anime di un movimento che
si riconosce con orgoglio nella definizione «cittadini geneticamente No
Tav». Del resto, anche nell’avviso di chiusura delle indagini emesso
dalla procura di Torino si fa riferimento a 400 persone non
identificate che dall’11 gennaio 2011 hanno impedito lo svolgimento del
carotaggio all’autoporto di Susa. Dal giugno dell’anno scorso è in
corso un processo civile con la richiesta di danni da parte di Ltf:
«Non capiamo perché i magistrati abbiano aspettato un anno a tirare
fuori dal cappello la denuncia penale».
Da quel piazzale si capisce come ogni tentativo di mettere in
evidenza le diversità di questo movimento ormai ventennale e di
dividerlo in buoni e cattivi messo in atto dalle istituzioni torinesi o
romane sembra destinato a fallire, perché al contrario rafforza invece
quel sentirsi «una comunità» sotto attacco «anche con evidenti
tentativi di criminalizzazione della lotta». Si evoca anche il fantasma
dei Servizi: «Quelli sì che hanno mandato le pallottole vere ad un
magistrato».
Certo, le contraddizioni sono evidenti. C’è un lato «A» di questo
sentirsi geneticamente No Tav: le famiglie che organizzano nel piazzale
una festa di compleanno per i loro figli; le persone che si alternano
volontariamente in cucina e si offrono per i turni di guardia. Medici e
avvocati che mettono a disposizione il loro tempo libero e la loro
professionalità in vista dell’annunciato blitz. Il professore del
Politecnico che va a fare lezione sul campo.
Ma poi c’è il lato «B». E non è un lato oscuro. Basta risalire la
strada che attraversa le vigne per vedere gruppi di giovani che saldano
porte d’acciaio e cancelli in ferro battuto per bloccare in più punti
strada dell’Avanà. E poi muri di pietra tenuti insieme da recinti in
ferro e piazzati come barricate lungo la strada che porta verso la
baita-presidio. Ci sono anche gli alberi tagliati accatastati lungo la
barriera anti-rumore dell’autostrada. Lì, dove dovrebbe essere costruito
lo svincolo per il cantiere, il 24 maggio c’è stata la sassaiola che
ha impedito ai lavoratori di aprire un varco nel guard-rail. E da quel
giorno le opere di difesa di quella che i No Tav chiamano «libera
Repubblica della Maddalena» si sono moltiplicate: cancelli e barricate
di notte si chiudono, le vedette controllano gli accessi.
Impossibile separare i due lati del movimento. Li unisce anche la
necessità di ricreare un moto di opinione favorevole ai comitati. Si
spiegano così le iniziative per dimostrare che non si tratta di una
«lotta Nimby» limitata alla Valsusa. Ecco allora la lettera che le mamme
valsusine hanno deciso di inviare al presidente della Repubblica e
alla signora Clio per spiegare che «difendendo la nostra Valle da
un’opera insostenibile dal punto di vista ambientale stiamo in realtà
difendendo l’intera nostra Patria». Ecco l’appello per la «democrazia e
la legalità in Valsusa» che ha raccolto 2.000 firme presentato anche
dall’europarlamentare Idv Gianni Vattimo e dal consigliere comunale di
Sel Michele Curto.
Curto, che ha sfidato Fassino alle primarie del centrosinistra, sale
al presidio per presentare un documento firmato da Luciano Gallino,
Luca Mercalli, Livio Pepino, Marco Ponti, Giorgio Airaudo e altri.
Chiede che «non si forzi con la polizia la comprensibile opposizione
del movimento No Tav e che non ci siano atti violenti da nessuna
parte». Dunque: «Sospendere il progetto e il cantiere».