Al Teatro Fassino di Avigliana, il 20 marzo, Carlotto ha intrattenuto il pubblico per due ore, accompagnato dai fiati jazz di Maurizio Camardi e dell’intenso intervento attoriale di Loris Contarini, voce recitante nello spettacolo “L’Italia ai tempi de L’amore del bandito”, per raccontare lo strazio degli operai dell’amianto, condannati a morte dal business senza scrupoli dell’industria degli anni ’60 e ’70: uomini che ora non avranno più neppure una giustizia postuma, dice Carlotto, «perché la nuova legge cancellerà tutti quei processi: una ferita che non si rimarginerà mai».
Ambiente, salute, tutela dei lavoratori, consumo del territorio. E grandi opere. Dalla contestatissima Torino-Lione alle arterie autostradali del nord-est. «Alla presidenza del Veneto ora arriverà la Lega, con l’attuale ministro Luca Zaia che prima prometteva barricate contro le centrali nucleari ma adesso dice: parliamone. Zaia – aggiunge Carlotto – predica l’agricoltura identitaria, ma come ministro ha fatto un accordo con la McDonald’s per l’hamburger McItaly. Il governatore uscente, Giancarlo Galan, vuole in cambio il ministero delle infrastrutture: speriamo che non lo ottenga, perché Galan è il più micidiale devastatore in azione in Italia, un perfetto serial killer del territorio».
Stop al consumo di terra: parola d’ordine fatta propria dall’inventore dell’Alligatore, detective protagonista di tanti fortunatissimi noir, nei quali Carlotto si incarica di “smascherare” la miscela esplosiva, criminale e affaristica, che produce asfalto e cemento con la connivenza di politica, banche e imprese, a spese del territorio sempre più impoverito. «Siamo pieni di capannoni vuoti, messi in saldo e comprati dai cinesi. La gente pensa che i cantieri siano una risposta positiva alla crisi, invece le nuove infrastrutture servono solo a chi le costruisce. E sapete chi ci guadagna di più?» Indovinato: «La mafia».
Le nuove mafie, naturalmente, quelle su cui i giornali tacciono. Esempi? Ground Zero a New York, il più grande cantiere edile del mondo. «Sapete chi ricostruirà le Torri Gemelle? La famiglia Gambino». O il Ponte sullo Stretto: «E’ successo che la ‘ndrangheta ha battuto Cosa Nostra, che adesso si chiama Stidda, e ha occupato militarmente Messina. I siciliani resistono, ma la guerra la combattono lontano dalle telecamere italiane, in Canada. E intanto hanno perso il controllo dell’affare del secolo, che è in mano ai calabresi, i quali per il narcotraffico sono in affari coi colombiani e, anche se non se ne parla, con la nuova mafia vincente europea: quella del Kosovo».
Col piglio del criminologo, lo scrittore di gialli-verità traccia uno scenario inquietante: «Il Kosovo è un narco-Stato senza legge, retto da tre famiglie. L’Uck, presentata come esercito di liberazione, è in realtà il braccio armato della mafia kosovara, che smista in Europa la droga: sia l’eroina che proviene dall’Afghanistan, sia la coca dei cartelli colombiani, grazie all’alleanza strategica con la ‘ndrangheta». Un’emergenza che sui media nessuno denuncia, anche se «la Germania è indifesa di fronte alla mafia calabrese, perché non ha ancora neppure il reato di associazione mafiosa nel suo codice penale», mentre i kosovari «sono ormai padroni del nord-est e di mezza Europa, fino alla Norvegia». Qualcuno li ha aiutati, accusa lo scrittore, aggiornando sotto il profilo criminale la geopolitica europea: «C’era da fermare la mafia russa, e si è puntato sul Kosovo. Questa è la realtà con cui fare i conti».
Il business criminale? «Innanzitutto riciclaggio illegale dei rifiuti e sofisticazioni alimentari. Poi vengono droga, armi, prostituzione». Cifre da capogiro. Dove investirle? «La globalizzazione dei mercati ha agevolato il riciclaggio: il Mediterraneo è diventato l’area perfetta», la più grande “lavanderia” mondiale di soldi sporchi. «Il miglior affare, per i cartelli criminali, è rappresentato dalle grandi opere: un investimento sicuro. Per questo, nessuna delle grandi infrastrutture è al riparo dal pericolo dell’infiltrazione mafiosa». Che da 15 anni è divenuta organica: «Le mafie non potrebbero agire impunemente su questo terreno se non avessero dei collegamenti ormai di fatto formali, continuativi, con ampi settori dell’imprenditoria, della finanza e della politica».
La Torino-Lione? Non fa eccezione, dice lo scrittore veneto, che aderisce apertamente al movimento No-Tav: «Le grandi infrastrutture divorano il territorio ma non servono assolutamente a nulla, sono solo grandi affari, che arricchiscono i potentati». C’è da combattere una battaglia civile, avverte Carlotto: «Dobbiamo impedire una devastazione che diverrebbe definitiva. Una battaglia da vincere, a tutti i costi, per invertire la tendenza»
Dal Veneto alla Campania, dalla Sicilia alla valle di Susa, c’è un’Italia che si organizza in movimenti di resistenza, «ovunque contrastati con la stessa durezza da parte della polizia: ormai la tutela del territorio è ridotta a una questione di ordine pubblico, chi lotta per difendere la sua terra viene considerato come un eversore». Motivo in più, dice Carlotto, per resistere: «Bisogna trovare la formula per unire tutti i movimenti, sapendo che da questa battaglia dipende il nostro futuro e quello dei nostri figli, che al territorio chiedono benessere e salute». E cita una battuta di una delle Madri di Plaza del Majo: «L’unica battaglia persa è quella che si abbandona».
Come Erri De Luca, Massimo Carlotto scende in campo direttamente, da romanziere: «Io credo che uno scrittore debba attraversare il suo tempo, occupandosene». E visto che i media «non raccontano più le trasformazioni della criminalità in Italia, i suoi collegamenti e le collusioni con alcuni ambienti», qualcuno dovrà pur farlo. Da “Gomorra” ai noir di Lucarelli e De Cataldo, si dipana il “romanzo criminale” dei retroscena italiani, di cui “l’Alligatore” del nord-est è uno degli indagatori più acuti. Obiettivo? «Svelare quello che la gente non sa». Libri che smascherano la corruzione e gli intrecci pericolosi all’ombra del potere: «Oggi – dice Carlotto – si sta creando una comunità di lettori che pretende questo tipo di romanzo, perché racconta quelle realtà che, appunto, non leggono sui giornali e non vedono in televisione».