Ho appreso solo ora che martedì 26 luglio su repubblica
Torino è stato pubblicato un articolo
dal titolo “gli ex terroristi
arruolati tra i NO TAV”. Non voglio fare neanche un rigo di commento ad un articolo
il cui scopo è chiaramente di danneggiare
il movimento della Valle di Susa. Ma un grossolano errore d’informazione dei due estensori, mi
impone una precisazione.
Le azioni a me riferite, sono da addebitare alla persona che
Trabucco e Giacosa mi accostano nell’articolo. E’ Fabrizio Giai colui
che nel 1980 ha collaborato al nostro arresto. E che ne ha ricevuto
vantaggi.
Una lettura degli atti processuali o un consulto con
qualsiasi buon giornalista torinese, anche senza disturbare personaggi più illustri, poteva evitare la
cantonata. Si tratta di mercimonio! Di mercato con le vite altrui. Si
tratta del tradimento di valori trasversali in ogni collettività umana. E’ bene essere chiari in un momento storico in cui l’etica,
gli impegni reciproci, i vincoli di appartenenza, la parola data, la correttezza
e la coerenza sono messi sotto i piedi in troppi ambiti della nostra società.
Nel 1986 la Valle di Susa con tutti i suoi amministratori ed
esponenti nazionali del Partito Comunista Italiano, autorevoli figure che oggi
occupano cariche a Torino e nello Stato,
diedero vita ad un convegno nazionale per discutere gli esiti dello scontro
armato in cui precipitarono i conflitti degli anni ‘70. Non a caso si svolse in Valle di Susa ed
ebbe notevole rilevanza nelle dinamiche seguenti.
Plaudirono la nostra dichiarazione in cui affermammo di
recedere dalla scelta delle armi per riaprire la strada al dissenso ed alla
critica delle lotte sociali. Le nostre scelte ed il loro esito di solitudine
erano un macigno sulla società degli anni ‘80 ridotta alla “Milano da bere”.
Facevamo sul serio, siamo stati presi sul serio.
Con quell’impegno ognuno di noi ha ritrovato la strada di
casa, salvando la propria integrità personale ed umana, attraverso gli anni
duri delle carceri speciali perché sentivamo di appartenere ad una comunità, la
valle di Susa, di cui siamo sempre stati figli, dei caratteri e della storia,
fino a tornarne ad essere Cittadini. Utili testimoni del pericolo delle fughe
in avanti o indietro.
E’ la valle di Susa e la sua gente che oggi ci da lezioni: di determinazione, di resistenza, di
non violenza, di tolleranza, di creatività, di sopportazione, di studio, di documentazione, di dibattito,
di democrazia, di lotta. Le sue istituzioni, i suoi amministratori e i suoi comitati.
La Valle nel suo insieme, e chi ne raccomanda la militarizzazione commette un
grave errore di amnesia storica del significato di quel convegno del 1986 al
cinema Narciso di Bussoleno. Eppure alcuni di loro c’erano.
Il bisogno di evocare immagini del passato appare un bisogno
di chi ha paura di ciò che sta avvenendo nella valle di Susa per non dover
vedere il vero problema; nessuno si degna di rispondere alle argomentazioni
degli esperti, degli enti istituzionali della Valle, dei suoi studi. Assisto ad
un inaudito ed unilaterale innalzamento dei toni, del si perché si! Da padre
padrone di antica memoria, che spera in una precipitazione dello scontro.
Oggi la valle di Susa è un luogo in cui si sta sviluppando
una di quelle forme pacifiche e ampiamente collettive di critica sociale, di
cui tutte le persone non lobotomizzate da 20 anni di televisione commerciale
sognavano la ripresa da anni.
Qui, oggi, è un luogo in cui centinaia di amministratori e
migliaia di persone discutono di modello di sviluppo e di democrazia, di
politica e rappresentanza. Qui è un posto dove si può parlare del mondo per
com’è e non per come ce lo fanno apparire in televisione. Qui è un posto dove un insegnante ha scritto
che preferisce che i suoi figli perdano un giorno di scuola se è per
partecipare ad un corteo, dove i nostri figli possono riflette sul mondo e
sentirlo proprio. Qui, questo luogo è casa mia.
Io ho terminato la mia storia penale nel 1996, sono stato
arrestato nel 1980. Ho pagato. Ho diritto di occupare posto nel nostro prossimo
corteo senza che qualcuno si senta in diritto di sbattere il mio nome in prima
pagina, attribuendomi nefandezze altrui.
Guido Manina