da NoTav.info
Se sgomento e commiserazione sono I
sentimenti che suscitano le immagini dello tsunami che ha sconvolto il
Giappone, un misto di rabbia e stupore è ciò che si avverte invece per
l’atteggiamento tenuto dalle autorità giapponesi nei riguardi
dell’incidente occorso agli impianti nucleari di Fukushima: minimizzare o
negarne, contro ogni evidenza, la gravità e le conseguenze così come
fecero le autorità statunitensi nel 1979 a Three Mile Island e quelle
sovietiche nel 1986 a Chernobyl.
Per ricostruire la sequenza incidentale
nella sua effettiva dinamica occorreranno mesi, ma alcune considerazioni
possono e devono essere fatte per rompere quel muro di omertà che il
potere (politico e mediatico) oppone in simili circostanze alla
conoscenza dei fatti. Sinteticamente:
1) L’arresto automatico,
conseguente al sisma, delle unità 1;2 e 3 di Fukushime non è avvenuto
nel migliore dei modi. Almeno sull’unità 1 una o più barre di sicurezza
(che rendono il reattore sottocritico) non sono penetrate a sufficienza
nel nocciolo: ciò è indirettamente confermato dal fatto che parecchie
ore dopo l’incidente i responsabili dell’impianto hanno cercato di
iniettare boro nel nocciolo (che è un forte assorbitore neutronico) al
fine di prevenire escursioni di potenza localizzate dovute appunto alla
non perfetta inserzione delle barre di sicurezza.
2) Tutte e tre le unità (sia pure
con diverse modalità) hanno sofferto di mancanza di alimentazione
elettrica ai sistemi di emergenza che dovevano essere attivati
immediatamente, sia perché la rete elettrica nazionale era in larga
parte fuori servizio, sia perchè i diesel di emergenza non sono entrati
in funzione o sono andati fuori servizio in poco tempo: ciò ha provocato
la insufficiente refrigerazione del nocciolo.
3) In queste condizioni è previsto
(per i reattori del tipo BWR, ad acqua bollente, come quelli di
Fukushima che il vapore che si continua a produrre nel vessel (il
contenitore di acciaio che racchiude il combustibile nucleare) venga
inviato nella suppression pool (una grande vasca di contenimento posta
alla base del reattore) al fine di evitare che la pressione interna al
vessel superi i limiti di progetto. Nel giro di poche ore la suppression
pool ha raggiunto la temperatura limite di 100°C oltre la quale si apre
una valvola di sicurezza che scarica il vapore direttamente nel
contenitore di calcestruzzo che racchiude il vessel e tutti i sistemi di
emergenza: questo evento indica che l’alimentazione di acqua nel
nocciolo era insufficiente e tale da non impedire che il calore residuo
del combustibile nucleare ne facesse aumentare la temperatura.
4) Il fatto che nell’unità 1 si sia
tentato di raffreddare il nocciolo con acqua di mare, significa che
nell’impianto non c’era più disponibilità di acqua demineralizzata
probabilmente per una perdita irreparabile nel circuito acqua di
raffreddamento (rottura del serbatoio o di una tubazione principale).
Comunque anche nell’unità 2 e 3 il livello di copertura dell’acqua nel
nocciolo è risultato insufficiente e tale da non poter escludere
danneggiamenti al combustibile nucleare.
5) In queste condizioni la
temperatura delle guaine del combustibile (che sono fatte di Zircaloy)
raggiunge facilmente gli 800°C provocando una reazione metallo- acqua
con conseguente forte produzione di idrogeno. Tale sviluppo di gas si
somma al vapore surriscaldato che dal nocciolo si propaga nel
contenitore di calcestruzzo facendone aumentare la pressione interna
oltre i limiti di progetto.
6) Nel tentativo di evitare il
peggio (cioè la distruzione del contenitore di calcestruzzo per
sovrapressione) le autorità di centrale –d’accordo con le autorità di
sicurezza- hanno effettuato dei rilasci controllati in atmosfera su
tutte e tre le unità interessate dall’incidente: di la contaminazione
riscontrata da Iodio 131 e (con molta probabilità) Cesio 137 e Trizio,
quest’ultimo difficilmente monitorabile, ma inesorabilmente presente
insieme agli altri gas.
7) L’esplosione del tetto della
“scatola” esterna (spettacolare ma poco significativa) è probabilmente
dovuta alla presenza di idrogeno, ma la momento, non pare abbia
interessato la struttura del contenitore di calcestruzzo.
Questo è quanto possibile dedurre dalla
lettura dei bollettini emessi dalla TEPCO (Tokio electric power company,
proprietaria degli impianti) fino a questo momento, ma la situazione è
in continua evoluzione e molto dipenderà (nelle prossime 36 ore) dalle
misure che il personale di centrale riuscirà a mettere in atto per
evitare il peggio e ciò mette in conto che ci siano ulteriori rilasci in
atmosfera di prodotti di fissione gassosi che sono un chiaro indizio
che sia avvenuta in almeno due reattori su tre una fusione parziale del
nocciolo, senza contare che anche la centrale di Onagawa, assai più
moderna delle altre, dimostra di avere gli stessi problemi di Fukushima.
L’incidente di Fukushima, anche se gli
eventi iniziatori sono diversi, ricorda quello di TMI del 1979 dove le
cause furono molteplici e concomitanti e non, come spesso si sente dire
dagli apologeti della tecnologia nucleare, frutto di errore umano: qui
di nuovo si manifesta l’inconsistenza delle procedure di sicurezza, dei
sistemi di emergenza e di tutte quelle salvaguardie che nonostante la
loro ridondanza, non riescono ad avere ragione della complessità,
imprevedibilità e pericolosità di questa tecnologia.
Giorgio Ferrari